Alessandro Crocco

Imprenditore, esperto di relazioni internazionali e presidente del Comites di NY

Originario di Acri (CS), vive White Plains, New York

Ha studiato presso l’Università Santa Croce a Roma e, trasferitosi negli Stati Uniti circa 11 anni fa, ha completato gli studi conseguendo un Bachelor in Business e Relazioni Internazionali presso l’Università del Minnesota.

Nella “città che non dorme mai” comincia a realizzare i suoi progetti puntando sul Made in Italy.

È un imprenditore nel settore food & beverage con interessi nella ristorazione e nell’importazione in particolare del vino, che è anche una delle sue passioni.

Ricopre il ruolo di CEO e Financial Analyst in diverse aziende nel business immobiliare e del capital investment.

Occupa molto del suo tempo libero dedicandosi ad attività filantropiche nel settore non profit, e ricoprendo il ruolo di vicepresidente di sviluppo presso diverse organizzazioni a carattere umanitario.

Nel 2021 si candida e viene eletto, con il numero di voti più alto mai raggiunto, Presidente dei Comites di New York, New Jersey e Connecticut e nel 2022 viene nominato membro della Consulta dei Calabresi all’’Estero.

“Determinazione, caparbietà, studio, lavoro sono questi gli ingredienti del successo, che non è quello quantificabile in denaro, ma quello che ti rende libero e felice”.

Non si può partire senza la voglia di ritornare

L’imprenditore esperto di relazioni internazionali e presidente del Comites di NY racconta il suo impegno nel supportare le realtà italiane e promuovere la cultura calabrese in America.

Qual è il primo ricordo legato alla sua terra?
Sono originario di Acri, in provincia di Cosenza. Sicuramente porto nel cuore molto della mia terra e della mia città natia: la bellezza del panorama del Parco della Sila è qualcosa che non si può dimenticare.
Quando penso alla Calabria, c’è un ricordo in particolare che mi sovviene. Si tratta della commistione di un odore e di un’immagine, quella dei comignoli e del fumo che ne esce e che avvolge tutta la città durante l’inverno. È una sinestesia che mi rammenta subito casa.

Lei è un imprenditore ed esperto in relazioni internazionali, com’è riuscito ad affermarsi in una realtà come New York?

Lavoro, abnegazione, studio, spirito d’intraprendenza. Ma soprattutto caparbietà e determinazione, da vero calabrese!
Nell’inseguire “il sogno americano”, ci deve essere la consapevolezza che nulla ti viene offerto o regalato. L’America non ha steccati, non è pregiudizievole verso chi non ha le possibilità economiche. È senza dubbio meritocratica, cosa che forse manca in Italia, ma è anche molto selettiva. Realizzi quel sogno se lo meriti e se riesci a distinguerti dalla massa.

Da “Ambasciatore del Made in Calabria” come sostiene e promuove le aziende italiane in America? Che difficoltà ha riscontrato inserendosi nel mercato americano?

Le mie attività e le mie società puntano molto sul Made in Italy. Dalla ristorazione all’importazione, fino alla distribuzione, ho sempre investito nel settore del food&wine italiano. Ovviamente una particolare attenzione va ai prodotti enogastronomici calabresi.
Se dovessi dire in che modo promuovo le realtà italiane, la risposta è semplice: parlandone! Sono promotore di diverse iniziative per far conoscere al meglio le peculiarità dei nostri prodotti. Sicuramente scoprire la storia dei territori da cui derivano i prodotti offre un valore aggiunto. In questo senso, il mio è anche un ruolo divulgativo.
Un’altra attività che svolgo è quella di indirizzare le aziende che intendono approdare nel mercato americano. Le supporto nella gestione e nella formazione perché la legge e le regole di mercato qui sono molto diverse da quelle europee. Il mercato americano è molto attento alle procedure da seguire e ai parametri imposti dall’ordinamento: c’è bisogno di una formazione mirata. Una volta superato questo scoglio, inserirsi e farsi conoscere nei diversi settori non è difficile.

Quanto è interessato il pubblico estero a scoprire la cultura enogastronomica italiana e calabrese?

Oltreoceano c’è un grande interesse verso tutto ciò che rappresenta il Made in Italy. Quello dell’enogastronomia è un settore in grande espansione. Dai prodotti più conosciuti a quelli più tipici, è aumentata molto la consapevolezza e di conseguenza c’è una richiesta sempre maggiore.
Cultura è senza dubbio il termine giusto. Il cibo italiano, oltre che conquistare il palato, porta con sé valori intrinsechi legati al rispetto e alla qualità delle materie prime, alla ricerca della stagionalità e all’artigianalità delle lavorazioni.
Tutto quello che, in pratica, caratterizza la dieta mediterranea: salute e benessere, ma anche aggregazione, convivialità, ospitalità. Un mix che ha trovato in America un pubblico molto attento, che si sta lasciando traportare dal fascino della cucina italiana. Ricerca degli ingredienti, studio delle ricette, scoperta delle tradizioni culinarie: chi sceglie un ristorante italiano va ben oltre il gusto, va alla ricerca di una storia.
In quest’ottica, la cucina calabrese apre anche una possibile strada nella promozione del territorio, coinvolgendo anche il settore turistico. Getta le prime basi per la scoperta della Calabria: una scoperta che in futuro potrà trasformarsi nell’esperienza di un vero e proprio viaggio in Italia.
Invece, per quanto riguarda le comunità calabresi, va da sé che la cucina tradizionale ha una valenza forse ancora più profonda e simbolica: è ricordo, è emozione… è un modo di sentirsi a casa!

Quale potrebbe essere una strategia di comunicazione efficace per promuovere il patrimonio storico e culturale calabrese all’estero?

Beh, prima di tutto è necessario e fondamentale attuare una politica “anti-pregiudizi”. La Calabria è una terra che ha molto da offrire, grazie al patrimonio storico e culturale che possiede, ma sulla quale gravano ancora molti stereotipi.
Forse sono proprio questi stereotipi ad averla resa col tempo poco consapevole del proprio potenziale attrattivo e l’hanno portata ad una sorta di immobilismo.
Sicuramente negli ultimi anni si è cercato di abbattere questi pregiudizi con una comunicazione mirata a far conoscere le bellezze e il valore di questa terra. “Good news”, come si dice in inglese. La stessa Regione ha investito molto in questo ambito e sicuramente i risultanti sono evidenti, anche se ancora c’è molto da fare.
Il problema principale resta la mancanza di servizi e di infrastrutture. Per poter entrare nella “mental map” del mercato estero, devi essere pronto a rispondere a determinate richieste in termini di qualità, accoglienza e servizi.

Da qualche mese è anche stato nominato Presidente del Comites di New York, New Jersey e Connecticut. Cosa significa rappresentare le esigenze degli italiani all’estero? Quali sono le richieste maggiori dei nostri connazionali all’estero?

Ho assunto questo ruolo e cerco di svolgerlo con grande senso di responsabilità e attaccamento verso la mia comunità.
Il primo sforzo è quello di rafforzare, rinsaldare e promuovere quel rapporto di fiducia fra le comunità italiane all’estero e la terra di origine, fra chi è partito e chi è rimasto. Creare una rete di relazioni fra il resto del mondo e l’Italia.
I Comites rappresentano un grande strumento per riscoprire l’italianità, conoscere le proprie radici, rinsaldare i legami con il proprio paese e instaurare rapporti economici e di business.
C’è bisogno di una nuova visione e di nuove prospettive. Bisogna valorizzare quel ponte mai reciso con l’Italia non soltanto dal punto di vista affettivo, ma riconoscendo una comunione d’intenti e d’interessi reciproci.
Riportare l’Italia nei contesti internazionali e valorizzare il Made in Italy è un percorso che bisogna intraprendere insieme, dando a chi è partito e a chi è rimasto lo stesso valore.
Poi ci sono i giovani e meno giovani italo-americani. Anch’essi una risorsa da coltivare, che attraverso i tanti club e associazioni cercano, nonostante le mille difficoltà, di continuare a scrivere pagine di cultura Italiana.
Ecco perché i Comites sono anche lo strumento per portare avanti questioni e battaglie che ancora non hanno trovato soluzione, come quella sulla cittadinanza italiana o sulla riforma del voto all’estero ed altre problematiche a cui, in questo caso, la politica deve rispondere.
E non certo per ultimo c’è l’aiuto e il sostegno che possiamo e dobbiamo dare ai residenti all’estero: sanità, studio, lavoro, economia. In fondo ciò che ci connota di più come italiani è l’essere una comunità!

Come descriverebbe la comunità italiana e in particolare quella calabrese di New York?

Comprendendo il New Jersey ed il Connecticut, New York è la più importante “città italiana” fuori dai confini nazionali. Nonostante noi americani siamo un popolo estremamente eterogeneo, abbiamo un grande senso di appartenenza sia verso il nostro paese, che verso i territori d’origine.
Qui a NY è possibile incontrare connazionali dai background più disparati: ricercatori e professori universitari, imprenditori, figure istituzionali, politici, personaggi del mondo dello spettacolo… In tutti ho riscontrato la grande volontà di lavorare insieme e di promuovere quel senso di italianità che ci contraddistingue in tutto il mondo.
Si dice che: “It’s easy to take a calabrese out of Calabria than Calabria out of a calabrese”, (È più facile togliere un calabrese dalla Calabria che la Calabria da un calabrese) ed è così! Penso che questo basti a descrivere la nostra comunità.

Ci sono molti calabresi di seconda o terza generazione che vogliono riallacciare il loro legame con la terra d’origine?

Oggi esistono due comunità differenti di calabresi: coloro che appartengono alla diaspora, che ha visto partire dall’Italia i nostri nonni con “la valigia di cartone”, e la nuova generazione.
La prima mantiene un legame prettamente affettivo con la Calabria, un ‘cordone ombelicale’ non reciso che si alimenta col sentimento di appartenenza e col sogno di poter un giorno ritornare. La seconda, quella dei figli, è quella che decide oggi di partire, non perché obbligata, ma per realizzarsi, fare esperienza e accrescere il proprio background.
A differenza della prima, questa mantiene ben saldo il legame con le origini, ma con una consapevolezza maggiore. Le persone della nuova generazione sanno di poter offrire un contributo diverso alla propria terra e diventano ambasciatrici di conoscenza e di sapere. Mettono a disposizione l’esperienza maturata oltreoceano per sviluppare e incentivare progetti che possano interessare le due parti. Un ponte concreto, fatto di relazioni su cui investire e che offre opportunità di sviluppo e crescita vicendevole.

Come li si può aiutare a riscoprire e avvicinarsi alla Calabria di oggi?

Il bisogno e la voglia di riscoprire le proprie origini ha creato un ponte con i territori che hanno dato i natali ai propri avi. Le iniziative per rinsaldare sempre più questo legame possono essere tante: prima di tutto incentivare la conoscenza della cultura e delle tradizioni attraverso eventi e momenti di aggregazione e condivisone.
Molto importante è il lavoro svolto dalle diverse associazioni e fondazioni, come il Comites stesso, ma soprattutto grazie ad uno strumento come la Consulta dei calabresi all’estero, attraverso la quale si possono sostenere progetti che aiutino ad intensificare questi rapporti.

Per chiudere, che appello lancerebbe a tutti i calabresi che vivono all’estero per riscoprire la propria terra?

Si emigra per realizzarsi, per inseguire un sogno, per soddisfare la voglia di fare e d’investire soprattutto su sé stessi, ma necessariamente ci si porta dietro la propria storia. Stolto sarebbe chi non lo fa. In fondo, mi piace pensare che ‘non si può partire senza la voglia di ritornare’.
Il mio invito ai calabresi all’estero è quello di contribuire attivamente a mantenere vivo il legame con la Calabria. Di percorrere quel ponte insieme attraverso una comunione d’intenti e d’interessi. Di crescere insieme e di creare nuove opportunità economiche e di sviluppo per dare nuova linfa alla Terra dei Padri.