Francesco Mazzei

Chef

Originario di Cerchiara di Calabria (CS), vive a Londra

Oltre a essere uno chef di fama internazionale, Francesco Mazzei è un grande promotore della cucina italiana all’estero. La sua carriera è un percorso multietnico e culturale alla costante ricerca e rielaborazione dei sapori della Calabria.

Roma, Milano, Bangkok, Edimburgo, Riyad, Dubai, Abu Dhabi, Miami, Istanbul, Shangai, Galles ed infine Londra sono le tappe di una carriera culminata con l’apertura nella capitale anglosassone dei famosi ristoranti Sartoria, premiato come miglior ristorante italiano del Regno Unico con tre forchette Gambero rosso, Radici a Islington e Fiume a Battersea Power Station.

Il successo ottenuto sulle tv Internazionali, per ultimo La CNN Search of Italy con Stanley Tucci, le copertine delle riviste specializzate e il libro Mezzogiorno, pubblicato nel Regno Unito, in Italia, e in molti altri Paesi europei ed extraeuropei, sono solo gli aspetti più evidenti di una personalità eclettica che nella solidarietà e nella vicinanza si realizza pienamente.

Per aver realizzato diverse iniziative di solidarietà per i poveri e i senza tetto della capitale britannica, Francesco ha ricevuto numerose benemerenze, tant’è che nel 2019 la sua opera professionale ed umanitaria gli è valsa la nomina a Cavaliere del Lavoro da parte del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella

“Con il bergamotto ho mostrato la Calabria al mondo”

Lo chef imprenditore di fama internazionale racconta il suo percorso di divulgazione della tradizione calabrese all’estero attraverso il linguaggio universale della ristorazione.

Qual è il primo ricordo legato alla sua terra?
Di ricordi ce ne sono tantissimi. Quello più importante, secondo me, è quello della famiglia, composto da profumi che si evolvono nei diversi periodi dell’anno, come la vendemmia ad ottobre, il maiale a gennaio e i taralli a pasqua. Però se c’è un profumo “speciale”, è senz’altro quello del bergamotto.

Ci racconta quali sono le sue origini e dove ha trascorso la sua infanzia?
Sono nato in casa, come la pasta fresca, a Cerchiara di Calabria. Poi all’età di 6 anni sono andato a vivere a Villapiiana Lido, però il cuore è rimasto a Cerchiara, un posto straordinario.

Lo scorso anno Sartoria, uno dei suoi ristoranti, è stato premiato da Gambero Rosso come miglior ristorante italiano di Londra. Come è riuscito ad affermarsi in un settore così compretitivo e a diventare uno chef di fama internazionale?

Prima avevo il ristorante L’Anima nella city, il primo ristorante italiano nel mondo che parlava di cucina calabrese. Sartoria non è stato altro che una cassa di risonanza di quel concetto: abbiamo fatto sì che la cucina calabrese sedesse in un palcoscenico straordinario, che è il centro di Londra. Non era mai successo che il Made in Calabria approdasse nel centro a così alti livelli.
Questo mi ha permesso di raggiungere obiettivi molto importanti per me: la scrittura del mio primo libro, Mezzogiorno, che parla della cucina di tutto il sud Italia e in particolare calabrese, il riconoscimento della Royal Academy of Culinary Art come uno dei pochi chef italiani a raggiungere questo livello, l’onorificenza a Cavaliere del Lavoro da parte di Sergio Mattarella nel 2019 per quello che ho fatto per il sud Italia nel mondo e naturalmente le Tre Forchette di Gambero Rosso!
Direi che meglio di così non poteva andare, ho avuto un anno prima della pandemia veramente straordinario e, nonostante tutto, io e il mio ristorante riusciamo a vivere ancora di quegli award che ci siamo meritati.

Pensa che le sue origini calabresi le abbiano regalato un quid in più a livello professionale?

Se sì, come si traduce nei piatti che propone ai suoi ospiti?
La Calabria dal punto di vista enogastronomico non era particolarmente conosciuta nel mondo. Io sono riuscito a portare attraverso la ‘nduja, il bergamotto, la liquirizia, il peperoncino e il vino Cirò il Made in Calabria ad altissimi livelli. Quindi il quid in più è stato che finalmente una persona ha avuto il coraggio di parlare di Calabria e di cucina calabrese in giro per il mondo. Secondo me ha fatto più per me la Calabria, che io per lei. Ogni volta che salgo su un aereo da Londra per Lamezia Terme, le persone mi indicano dicendo “Oh, the Calabrian chef!”: associano una faccia a uno stile di cucina, ed è una gran bella cosa, sia per me, che per i miei colleghi.

Nella realizzazione delle sue ricette si ispira a qualche membro della sua famiglia? Le capita di prendere spunto da piatti della sua infanzia e rivisitarli?

Assolutamente. Evoluti, certo, ma senz’altro. Sono i piatti della nonna, della mamma e delle zie. In Calabria c’è ancora quella cultura cattolica molto forte per cui si mangiava il pesce il mercoledì e il venerdì e la carne la domenica. Insomma, la classica dieta mediterranea: ci sono tantissimi piatti che mi hanno ispirato e hanno fatto sì che la famiglia avesse una forte influenza sulla mia cucina. Per esempio, le capesante con la ‘nduja, che tra l’altro sono state uno dei piatti del programma di Stanley Tucci, “Search of Italy”, sulla CNN, che adesso andrà anche sulla BBC, hanno fatto scalpore e riprendono le cozze con la ‘nduja e il vino dolce che si facevano a casa mia quando ero piccolo. Un altro esempio è la classica pizza con lo strutto calabrese, che oggi è il pane che servo nel mio ristorante Radici, piuttosto che il coniglio in umido di mamma e la pasta china, diventati i miei cavalli di battaglia.

Ci sono delle tradizioni e/o dei riti tipicamente calabresi ai quali è particolarmente legato e che osserva anche quando è a Londra?

Certamente. La sera di Natale da noi si devono fare 13 piatti diversi e non ci deve essere assolutamente carne. Il baccalà deve esserci sempre perché è importante! E poi c’è un’altra tradizione che mi sta molto a cuore, un breakfast di quando ero piccolino, per la Domenica delle Palme: asparagi saltati con uova strapazzate e un formaggio che si chiama “spallaccio”. È una cosa che coi miei bambini faccio ogni anno la mattina e lì mi ricordo un po’ di Calabria.

Quando è all’estero quali sono le cose di cui sente maggiormente la mancanza e che la spingono a ritornare in Calabria?

Senz’altro la mia famiglia. Però un’altra cosa che mi manca molto qui in Inghilterra è il cambio delle stagioni, che da chef sono motivo di grandissima ispirazione a livello culinario e qui tutto ciò non esiste per motivi climatici. Mi manca anche molto la semplicità con la quale si vive in Calabria: ti dà una serenità, un equilibrio e una pace interiore pazzeschi. A volte mi fermo a Cerchiara a guardare la gente: le persone camminano, si fermano, ti parlano. A Londra tutti corrono, corrono, corrono… Mi manca lo stare tranquillo: la tranquillità ti fa vivere meglio e ti fa creare dei piatti migliori, che “non vanno di corsa, ma rimangono”.

Crede che il linguaggio della cucina, nella sua universalità, possa attrarre il resto del mondo in Calabria? Secondo lei quanto è preponderante il ruolo della cucina nell’identità culturale calabrese?

Se lei va in giro per il mondo e chiede della cucina calabrese, cosa viene in mente a tutti per prima cosa? Il piccante. Però paradossalmente il piccante non lo facciamo in Calabria, non abbiamo neanche un peperoncino autoctono. Invece la gente non sa del bergamotto, della liquirizia, della cipolla di Tropea! Parlare di cucina calabrese attrarrà in Calabria tantissima gente.
Negli ultimi anni ho notato un nuovo movimento enogastronomico: basti pensare per esempio al Cipolla Party che organizziamo ogni anno a Tropea, di cui sono anche stato nominato, con mio grande orgoglio, cittadino onorario. Si inizia quindi a parlare di Calabria come un polo del turismo gastronomico, cosa che può solo giovare al Made in Calabria. Mi auguro solo che tanti ristoratori e albergatori non si vergognino più di cucinare la cipolla, le acciughe o i cavatelli. Bisogna essere più orgogliosi nel parlare di cucina calabrese, perché la gente ne vuole sapere di più.

Nella sua attività all’estero lei si definisce un “proud ambassador” del Sud Italia. Ritiene importante far conoscere la Calabria attraverso la sua professione?

Assolutamente sì. Da quando ho aperto il ristorante L’anima nel 2007 ho fatto una scelta drastica: ho lasciato le stelle Michelin e le grandi catene per dedicarmi totalmente alla cucina calabrese. Non ci credeva nessuno all’inizio, ma dopo un paio d’anni abbiamo avuto un grandissimo riscontro inaspettato, perché non ho avuto paura di parlare della cucina della mamma fatta con le mani di uno chef. Se nel nostro piccolo riusciamo a fare lo stesso in Calabria, avremo un successo incredibile.

Nelle sue ricette si dà grande rilevanza alla materia prima di qualità: è importante rappresentare i valori della sua terra attraverso ingredienti autentici?

È una questione identitaria. All’estero ci sono tanti ristoranti italiani che non sono gestiti da italiani. Il che va bene, però non sono autentici e questo è un problema per la Calabria. Per cui il codificare e il cercare di insegnare quali sono i piatti originali con la giusta ricetta per noi calabresi è fondamentale.
Se iniziamo a promuovere i fileja con la ‘nduia, assicuriamoci che la ricetta sia uguale per tutti. In questo modo l’ingrediente diventa elemento principale e ciò fa la differenza per una grande cucina.
Noi italiani non dobbiamo essere bravi a fare il piatto bello, ma a fare il piatto buono, perché la nostra cucina è fata di ingredienti e di stagionalità e la Calabria in questo è un terreno vergine, perché non in molti conoscono la grandezza qualitativa delle materie prime che abbiamo.

La situazione socio-economica degli ultimi anni ha avuto un impatto nell’importazione dei prodotti dalla Calabria?

Noi abbiamo problemi seri adesso per l’approvvigionamento della materia prima a causa di un vertiginoso aumento dei prezzi. Però la gente non si è lamentata: ci sono persone disposte a pagare anche il 30% in più per avere la qualità e questo ha fatto sì che riuscissimo a mantenere un altissimo livello. Speriamo bene per il futuro!

Per chiudere, che appello lancerebbe a tutti i calabresi che vivono all’estero per riscoprire la propria terra?

Di iniziare a parlare di Calabria con orgoglio in termini di possibilità e modernità e di dare lustro e spazio ai giovani che stanno iniziando una carriera soprattutto in ambito enogastronomico, facendo loro capire che i calabresi in tutto il mondo possono avere ancora un link con una terra che sta facendo passi da gigante. Naturalmente li invito anche a visitarla di più!