Silvio Sangineto

Director of Product Design & Research di Microsoft Originario di Paola (CS), vive nella Silicon Valley Laureato in ingegneria informatica, grazie alle sue esperienze in ambito internazionale si è specializzato in Human-Computer Interaction. Silvio attualmente lavora nella sede californiana di Microsoft, dove guida il team di Product Design & Research dedicato a Microsoft Azure IaaS, la piattaforma cloud pubblica di Microsoft che viene definita “il computer del mondo” e che oggi è utilizzata da circa il 95% delle Fortune 500 Companies. I prodotti e i servizi creati da lui e dal suo team negli anni hanno raggiunto oltre 500 milioni di persone e spaziano dall’ambito della sanità, alle automobili fino ai robot impiegati nell’ausilio di persone anziane. Silvio è giudice e coach in diversi incubatori di startup nel mondo e frequentemente supporta i progetti delle nuove generazioni. Il suo obiettivo è quello di contribuire a disegnare una nuova società, aiutando le persone ad esprimere a pieno il loro potenziale. Infatti nelle sue conferenze invita sempre i giovani a seguire i propri sogni, senza lasciare a qualcun altro il compito di determinare quali siano i loro limiti. Nel suo tempo libero collabora come mentor e insegnante di UX Design in corsi specialistici per professionisti del settore presso diverse università, come la prestigiosa UC Berkeley in California.

“Scoprire le proprie radici è fondamentale per esprimere appieno il proprio potenziale”

Il Director of Product Design & Research di Microsoft condivide il suo percorso dalla Calabria alla California e racconta punti in comune e differenze tra le due realtà che chiama “casa”.

Qual è il primo ricordo legato alla sua terra?
Di sicuro è una persona, mio padre. Come sapete, la Calabria è un posto con un mind-set piuttosto conservatore. Mio padre invece è riuscito fin da quando ero bambino a trasmettermi alcuni principi che tutt’ora mi porto dietro, come l’inseguire sempre i propri sogni e combattere per raggiungerli. Lo definirei senza dubbio il mio role model. Ogni volta che penso alla Calabria penso a lui e ai momenti trascorsi insieme e quello per me è un connubio fondamentale.

Ci racconta quali sono le sue origini e quelle della sua famiglia?

Entrambi i miei genitori sono di Paola (CS). Mia mamma è un’insegnante, mentre mio papà era rappresentante dentale. Ho trascorso tutta la mia infanzia a Paola, fino al termine dei miei studi universitari e poi ho cominciato a girare per l’Europa.

Lei è Principal User Experience Designer in Microsoft. Com’è riuscito ad affermarsi in questa importante multinazionale e soprattutto a farlo in California, un luogo dove la competitività nel settore è molto elevata?

Essere nato in una terra che ti dà tanto, ma che allo stesso tempo ti mette davanti alcuni ostacoli, è stato sicuramente uno degli elementi di sfida più importanti. Una delle forze che mi sono portato dietro è infatti la voglia di rivalsa: a Londra, a Berlino o altrove non aspettavano i calabresi con il tappeto rosso, c’erano giovani che arrivavano dalle università di tutta Europa. Però, fin da bambino, non ho mai accettato che qualcuno mi dicesse cosa potessi fare e dove potessi arrivare: volevo che quello venisse dalle mie capacità. Per arrivare in California sono riuscito a prendere 3 visti per extraordinary abilities, ma la prima volta che andai da un avvocato italiano per informarmi a riguardo mi disse che quella non era la strada giusta per me perché erano praticamente impossibili da prendere. Ho continuato a perseguire la mia strada e da lì, non solo ho ottenuto questi 3 visti di tipo 1, ma anche la green card per i miei meriti e i miei successi. Se avessi ascoltato tutti quelli che mi dicevano che ciò non era possibile, probabilmente oggi la mia storia sarebbe diversa. La mia infanzia in una terra in cui le persone sono conosciute per essere stubborn, cocciute, è stata essenziale: siamo un popolo di testardi e questa qualità, se incanalata bene, è una gran cosa. Mi ha aiutato nella vita anche quando facevo delle scelte che da fuori potevano sembrare da pazzi: quando mi sono licenziato da Londra per andare in Belgio avrò tagliato il mio stipendio del 50%, ma il piano che avevo in mente è stato essenziale per imparare delle cose che sarebbero state fondamentali più avanti. Se vuoi competere con chiunque nel resto del mondo, devi avere il coraggio di metterti in gioco.

C’è qualche altra figura calabrese che le ha fatto da mentore nel suo percorso?

Nel disegnare la mia vita ho applicato spesso una strategia che a sentirsi potrebbe sembrare poco intuitiva: ogni volta che prendevo una decisione chiedevo un parere alle persone che avevo attorno a me. Non per validazione, anzi, proprio il contrario. Ogniqualvolta qualcuno mi diceva “this is a stupid idea”, nella mia testa pensavo: “maybe this is a great idea!”. Perché,nel momento in cui noi etichettiamo un’idea, ci rifacciamo alle nostre esperienze personali e quelle persone che avevo intorno erano cresciute nel mio stesso contesto, avevano i miei stessi believes e quindi non mi consentivano di vedere le cose out of the box. Le persone che ti stanno attorno probabilmente ti diranno bravo quando andrai in una direzione molto conservativa rispetto al loro percorso di vita. Io usavo questo come cartina di tornasole per capire se stavo davvero pensando fuori dagli schemi o no. Dopo un po’ i miei amici hanno capito il giochino e mi hanno detto: “Silvio, smettila, tanto sappiamo che farai il contrario”. Oltre al mio gruppo di amici, c’è un affermato imprenditore calabrese che adesso vive in Giappone, si chiama Elio Orsara. Quando sono arrivato qui in America, all’inizio ho avuto dei momenti di tentennamento in cui ho pensato di tornare indietro. Le chiacchierate con lui sono state cruciali per darmi un’ulteriore motivazione. Lui è venuto in America quando era molto più giovane di me e all’epoca non aveva saputo sfruttare la situazione a causa della poca maturità dovuta alla sua età. Lui mi diceva: “Silvio sei nel miglior posto per quello che vuoi fare e alla giusta età. Questa cosa non ti capita più volte, quindi sfruttala appieno!”. Mi ha fatto ricordare un altro fattore essenziale del successo, che è il timing.

Quali elementi della sua Calabria ritrova nella Silicon Valley?

Io non mi sono trovato bene in Europa. Ho amato Londra per tanti aspetti, ma non mi sono mai sentito a casa, tant’è che all’epoca tornai in Calabria 14 volte in un anno. Invece, paradossalmente, qui in California mi ci sono sentito subito per via di diversi fattori comuni con la Calabria. Senz’altro la friendly people: quando sei un emigrato, le interazioni con gli altri sono fondamentali per darti la forza per andare avanti. Avere chiacchierate, anche stupide e superficiali, con gente che per esempio ti ferma per strada e ti dice “your pair of shoes is amazing” è qualcosa che a Londra non ho mai visto. La seconda cosa sono i palazzi in costruzione. Cosenza ha delle zone industriali piene di cantieri non terminati. Questa caratteristica c’è anche in California, con la differenza che loro sono bravissimi a fare marketing, per cui quello stesso elemento in Silicon Valley è “so cool” perché dà l’idea di un luogo in fase di sviluppo su cui stanno investendo, cosa che non avviene in Calabria. Pensate che la sede di Facebook in California è volutamente incompleta perché vuole dare il senso ai dipendenti di essere ancora in divenire e che abbia ancora molto margine di crescita. Un altro fattore molto importante per me è il clima. Qui in California c’è un clima mediterraneo e siamo circondati da tanta natura, come in Calabria. L’insieme di questi elementi mi ha fatto sentire più a casa qui, rispetto ad altri paesi europei. All’Università di Stanford ho fatto uno speech proiettando alcune foto della Calabria e ho chiesto agli studenti: “Can you guess which place is this?”. Loro hanno cominciato a citare luoghi della California e dopo un po’ li ho fermati e ho detto loro che si trattava della Calabria. Sono veramente simili a livello paesaggistico! Anche quando non lavoro e vado in giro, mi sembra di essere a casa ed è la prima volta che mi succede. Ormai sono qui da sette anni, di solito non mi fermo mai più di uno o due anni in un luogo differente da casa.

Lei si descrive come un “executive coach who helps humanity to unlock its full potential”: che ruolo ha il legame con le proprie radici nell’esprimere appieno il proprio potenziale?

Nel mondo del design del prodotto, quello che ha avuto successo negli ultimi anni è stato disegnare i prodotti a misura di essere umano: bisogni, desideri, opportunità… Se trasli queste cose nella vita reale, ti rendi conto che la vita non è altro che il tuo prodotto e tu hai il ruolo sia di creatore, che di user. Ma a differenza di come si fa nell’UX Design, dove nella fase iniziale si spende molto tempo a studiare gli utenti che utilizzeranno il prodotto, nella vita reale la maggior parte di noi non spende tempo a riflettere su chi è e cosa vuole davvero. Quando fai questo ragionamento all’indietro, torni alle origini e capisci quali sono stati i momenti in cui eri felice nel fare delle cose. In questo modo trovi il tuo core, cioè chi sei davvero. Analizzare il cuore di quello che ti porti dietro ti aiuta a capire meglio quali sono le tue forze e quali sono le cose che probabilmente nella vita non ti piacerà fare. Siccome le persone non spendono del tempo a fare questo, il dramma è che poi si tende a reagire alle cose che ci capitano senza pensare. Mi capita una opportunità di lavoro a Roma? Prendo e vado, anche se magari quello che realmente mi farebbe stare bene è altro. Quindi le origini sono fondamentali per stabilire i punti di forza e di debolezza e capire quali sono le cose che ci fanno stare realmente bene, sviluppando il nostro pieno potenziale.

Come calabrese emigrato all’estero si è imbattuto in qualche pregiudizio o stereotipo che caratterizza gli italiani?

In Europa sempre. Il mio nome ricorda un nostro personaggio noto, per cui ogni volta che andavo in un posto, argomenti come “Berlusconi, pizza, mandolino” erano all’ordine del giorno. Un altro pregiudizio che ho riscontrato a livello mondiale è che noi siamo visti come il popolo che fa la “Dolce Vita” e questo si riflette anche nel vedere l’italiano che lavora. Il concetto generale è che in Italia abbiamo tantissime vacanze e quindi si presume che facciamo una bellissima vita senza problemi e non si capisce perché usciamo dall’Italia. Sono stato fortunato in America perché gli italiani lì sono apprezzati. Ma in altri contesti, soprattutto nel nord Europa, ho avuto più difficoltà. Ovviamente noi guardiamo i nostri pregiudizi, ma ce ne sono per tutte le nazionalità. Li ho trovati anche al contrario, dagli italiani nei confronti degli americani. In California viviamo pochissimo i pregiudizi rispetto ad altri stati U.S.A., ma questo perché siamo esposti giornalmente all’integrazione più assoluta: non c’è differenza di accento tra un pakistano, uno spagnolo, un francese. Davvero non importa a nessuno. In Calabria il problema non è la fuga dei cervelli, ma è quello che noi non riusciamo ad attrarre per via di alcune barriere iniziali. Come convincere un talento britannico a venire a lavorare in Italia? Anche noi abbiamo tanti pregiudizi verso gli altri.

Quali sono i motivi che la spingono a mantenere i contatti con la Calabria?

In parte sicuramente la mia famiglia, con la quale ovviamente ho un legame indissolubile. Dall’altra parte, c’è sicuramente la voglia di riscatto perché ho sempre avuto la speranza che la Calabria potesse diventare un luogo di accoglienza di talenti. Ho davvero speso tanto del mio tempo libero per questo negli anni. Adesso sento di avere delle possibilità che prima non avevo e quindi questa voglia di riportare del valore nella terra in cui sono nato tiene acceso il mio legame con la Calabria.

Ha mai pensato di ritornare in Calabria o di avviare una nuova attività imprenditoriale in questa regione?

Sì, due volte, quando mi sono licenziato a Londra e poi quando mi sono licenziato in Belgio nel 2015, perché avevo intenzione di creare qualcosa di nuovo in Calabria. La realtà dei fatti è che mi contattò un’azienda americana su Linkedin e da lì è iniziato il mio nuovo percorso. Però già in quella fase cercavo di contribuire alla valorizzazione della Calabria organizzando diversi seminari e con la creazione di un corso di dottorato nell’Università della Calabria.

Se dovesse immaginare delle “buyer personas” a cui consigliare di intraprendere un viaggio di riscoperta delle proprie origini in Calabria, come sarebbero?

Come prima figura immagino qualcuno che ha speso anni significativi della sua vita in Calabria e vorrebbe tornarci. È interessante capire come risvegliare delle memorie uniche e individuali in queste persone, magari attraverso la fotografia. Immagino degli individui con forti ricordi sul loro vissuto, fatti di sapori e sentimenti che vanno risvegliati. Aggiungo un ulteriore layer, quello delle seconde e terze generazioni. Persone nate e cresciute in un altro luogo. La gente meridionale mantiene molto le tradizioni, quindi nelle loro famiglie cercano di cucinare i piatti della nonna e usano ancora un po’ di dialetto perché queste cose li avvicinano ai propri avi. È un modo per collegarli in maniera più intima ad una situazione che gli ha fatto vivere delle emozioni. In questo caso bisognerebbe costruire dei pacchetti turistici individuali, creati ad hoc sulle esperienze e i ricordi di ciascuno. C’è anche un terzo pubblico, quello che non ha legami con la Calabria e che sta iniziando a conoscerla piano piano grazie a un lavoro di divulgazione che si sta cercando di fare. Siamo oggettivamente ancora poco conosciuti e c’è bisogno che gli ambassador in tutto il mondo parlino di Calabria e la facciano scoprire all’estero.

Che appello lancerebbe a tutti i calabresi che vivono all’estero per riscoprire la propria terra?

Il primo appello che lancerei è quello di abbandonare il proprio campanilismo e pensare alla Calabria come un territorio unico e omogeneo. Dobbiamo ricordarci che facciamo tutti parte di un percorso comune volto a riscoprire e valorizzare la nostra terra d’origine. Solo così la si può promuovere all’estero e attrarre talenti e turisti di ritorno.